Oscar Farinetti

Dal dovere al piacere: così Oscar Farinetti
racconta la ai nipoti

Dopo lo storico dell'arte tedesco Roland Guenter, la Climate leader Claudia Laricchia, l'architetto Alessandro Bisagni e la pioniera delle bioplastiche Catia Bastioli, Salvatore Giannella per la nostra rubrica Friendly ha intervistato Oscar Farinetti, ambasciatore del cibo e della

Caro Farinetti, con il varo di Green Pea (Pisello verde) nell'ex Lingotto di Torino, 72 scrigni dedicati alla sostenibilità e all'italianità, nel suo biglietto da visita ha aggiunto, dopo quello di ambasciatore del cibo di casa nostra, anche quello di valorizzatore del Made in Italy che realizza prodotti rispettosi dell'ambiente e della bellezza. Ma lei, che ha carisma come imprenditore e anche come scrittore di intriganti libri (ho sul tavolino i due ultimi editi da Rizzoli: Never Quiet. La mia storia e 6×2, sei brevi lezioni da due maestri del marketing, scritto con Oscar di Montigny) come racconterebbe agli italiani, alle prese con emergenze di vario tipo, da quella sanitaria a quelle economiche ed energetiche indotte dalla guerra della Russia all'Ucraina, la necessità di questa transizione ecologica basata sulla sostenibilità?

Più che agli italiani adulti mi rivolgerei a quelli più piccoli. Credo sia importante investire sull'educazione degli italiani più giovani, quelli che avranno più di vent'anni nel 2030, diciamo quelli della Generazione Greta. Noi adulti abbiamo difficoltà a modificare i nostri comportamenti, è già una svolta importante se riusciamo a cominciare a risolvere alcuni dei numerosi problemi che abbiamo creato. E' a loro, ai viaggiatori in marcia verso il futuro, che toccherà di risolvere la maggior parte delle emergenze che lasciamo in eredità. 

Valcucine Green Pea Torino
Valcucine è partner di Green Pea, un luogo in cui rendere possibile atti di acquisto e di consumo ecosostenibili e rispettosi. 

Ha dedicato i suoi libri a sua moglie Graziella e ai figli. Immaginiamo di completare le dediche ai Farinetti più piccoli: i suoi nipoti Celeste, dodicenne, e Paolo, di 8 anni. Come racconterebbe a loro la complicata sfida che ci sta di fronte?

Direi loro: cari nipoti, noi umani abbiamo un grande problema da risolvere e in fretta. Noi siamo su questo pianeta, l'unico nell'Universo conosciuto finora in grado di ospitare la vita, da più di 300 mila anni mentre lei, la Terra, è illuminata dal Sole da 4 miliardi e mezzo di anni. In questi 300 mila anni abbiamo fatto tante cose buone e belle, anche negli ultimi tempi, ma ne abbiamo fatto pure di sbagliate. Un errore che abbiamo commesso è aver trasformato il consumo in consumismo. E quando a una parola si aggiunge il suffisso -ismo, persino le idee più belle assumono connotati negativi: pensate a buono e a buonismo, dove con il secondo termine si tende a identificare un eccesso di buoni sentimenti o una falsa pietà.  

Ebbene noi umani, carissimi Celeste e Paolo, negli ultimi 60-70 anni abbiamo sbagliato nel consumare. Abbiamo esagerato nel consumare creando tanta energia e creando tanti prodotti che non sono più in armonia con l'acqua, con la terra, con l'aria del nostro prezioso pianeta.

Eppure, parlando tra nonni, caro Farinetti, un giorno il futurologo Alvin Toffler mi indicò che stiamo vivendo nel ciclo medio di vita dell'umanità con il più alto tasso di e di invenzioni, superiore a tutti i 799 cicli medi precedenti. Mai hanno vissuto sulla Terra, contemporaneamente, tanti milioni di ingegneri, , medici, ricercatori, giornalisti, insegnanti, artisti, sceneggiatori, musicisti, scrittori… Mai, altra faccia della medaglia, è stata così diffusa l'incertezza in milioni di persone anche psicologicamente normali, alle prese con la rapidità choccante di tante innovazioni.

Ai nostri nipoti dobbiamo spiegare perché l'età più creativa dell'umanità coincide con le crisi più importanti. A cominciare dalla prima, quella del cambiamento climatico, che con le sue drammatiche conseguenze mette a rischio la sopravvivenza della stessa specie umana. Noi abbiamo prodotto tanta energia consumando combustibili fossili, derivanti cioè dalla trasformazione naturale, sviluppatasi in milioni di anni, di sostanza organica seppellita sottoterra nel corso delle ere geologiche.

Questi combustibili fossili (petrolio, carbone e gas naturale) sono una fonte di energia non rinnovabile, cioè destinata a esaurirsi nel tempo, e con un grande impatto sull'ambiente, dal momento che essi rappresentano la principale fonte di emissione di CO2 e di gas serra nell'atmosfera.
Con conseguenze sempre più gravi.

So che a lei piace arricchire la comunicazione con i numeri. Ne indichi qualcuno per capire la gravità della situazione.

A causa del cambiamento climatico, nel 1999 avevamo registrato sulla Terra 19 eventi catastrofici. Vent'anni dopo, nel 2019, gli eventi catastrofici sono saliti a quota 1.500. 

Caro Farinetti, lei è sempre stato dipinto come un inguaribile ottimista. Una delle sue imprese commerciali è fiorita proprio grazie a quella parola pronunciata dal poeta del cinema Tonino Guerra: “L'ottimismo è il profumo della vita”. Sbaglio o gli ultimi eventi hanno causato un'incrinatura in questo suo grantico ottimismo?

No, sono convinto che queste emergenze le supereremo grazie alle innovazioni, ma a condizioni di voler cambiare strada in almeno quattro settori. 

Per restare nel campo dell'energia, raccomanderei ai miei nipoti di tifare per chi investe nell'altro modo di produrre energia, utilizzando le fonti belle che abbiamo in questo pianeta: sono il sole, il vento e l'acqua. Noi potremmo produrre più energia da fonti rinnovabili: già il primo storico traguardo, in Europa, è stato raggiunto nel 2020 quando si è registrato per la prima volta il sorpasso delle fonti rinnovabili sui combustibili fossili come primaria fonte di elettricità. A certificarlo è stato il rapporto annuale pubblicato da Ember and Agora Energiewend, che prende in esame la produzione di energia elettrica in relazione alle varie tipologie di sorgenti a disposizione dell'uomo.

Nel 2020, infatti, nel continente europeo la percentuale di energia elettrica prodotta a partire da energie rinnovabili (trainata dall'energia eolica e da quella solare in sostituzione del carbone) ha raggiunto quota 38,2% superando di poco più di un punto percentuale il valore dell'elettricità derivante dai combustibili fossili. Il momento in cui, anche sotto la spinta dell'emergenza energetica dovuta all'invasione russa dell'Ucraina, arriveremo a 70, 80, 90 per cento di energia da fonti rinnovabili avremmo già compiuto una meraviglia assoluta. 

Nel capitolo sull'energia ho letto della sua sorpresa, e sue scoperte in occasione di Expo 2015, nel trovare l'Italia avanti nella ricerca e nell'uso di fonti rinnovabili. Proseguiamo con gli altri suggerimenti pratici ai nipoti.

Il secondo tema che raccomanderei loro è quello di contribuire a ridurre il più possibile lo sversamento di plastica in acqua. Ogni anno scarichiamo in mare dai 4 ai 12 milioni di tonnellate di plastica, in gran parte di plastiche mono-uso, ottenendo due effetti dirompenti: distruggiamo l'habitat marino e poi ce le ritroviamo nel pesce che mangiamo. Anche in questo caso la ricerca italiana sta crescendo con le bioplastiche e anche grazie a virtuosi comportamenti individuali: penso a coloro che hanno sostituito le bottiglie di plastica con borracce d'acciaio ricaricabili [Ne parlo nel mio nuovo libro: Acqua ultima chiamata, Antiga Edizioni, 2022. NdR].

Il terzo argomento che spiegherei loro, visto che il mio mestiere è l'agricoltura, è la fortuna che abbiamo avuto nell'esser nati in un paese fantastico caratterizzato dalla grande biodiversità dell'agroalimentare. Noi siamo stati, circa duemila anni fa, quelli che con Roma (leader sia nel sociale che nel politico) hanno sfamato mezzo mondo e oggi dobbiamo trovare il modo di aiutare a sfamare ancora mezzo mondo. Dobbiamo smettere di fare coltivazioni intensive in pochi posti del pianeta e passare a coltivazioni di rispetto in tanti luoghi.

A questo punto porterei Celeste e Paolo in viaggio con me in Africa a vedere alcuni dei mille orti che in quel continente abbiamo contribuito a creare. Li porterei ad Albease, un'antica città nel distretto di Pru, in Ghana. O nell'orto, gestito da venti donne, ad Afmana, nel comune di Quangolo, grande città nella regione arida delle Savane della Costa d'Avorio. O nel convento di Mkiwa, in Tanzania, fiorito grazie all'impegno di alcune missionarie polacche per arricchire la mensa dell'asilo da loro gestito.

Spiegherei ai miei nipoti che dobbiamo essere molto orgogliosi per questa iniziativa di solidarietà alimentare perché realizzare orti urbani e giardini nelle scuole e nei villaggi africani vuol dire non solo garantire alla comunità cibo autoctono, fresco e sano, ma anche formare una rete di leader consapevoli e soluzionisti nella propria terra, dove rimanere senza emigrare in cerca di cibo che oggi manca a molti di loro, e protagonisti del futuro di questo continente che è stato culla dell'umanità.  

Una bella, decisiva esperienza che nonno Farinetti darebbe, come viaggio di iniziazione, ai suoi giovanissimi eredi…

Fuori della metafora famigliare, l'Italia può e deve diventare, pur in questa fase storica resa complicata dalla guerra alle porte di casa, portabandiera della sostenibilità e del cambiamento climatico a livello mondiale. Siamo già i migliori in Europa per produzione di energia sostenibile, della plastica e del legno, aziende agricole biologiche.

Punteremo a essere la prima nazione al mondo a emissioni zero: cento per cento di energia rinnovabile, azzeramento delle polveri sottili e il più imponente programma di dei rifiuti che si sia mai visto. Il tutto da portare a compimento prima di qualsiasi altro Stato. Questo creerà una moltitudine di nuovi posti di lavoro, sia privati che pubblici, e costituirà il perno attorno al quale, superato l'attuale momento difficile, ruoterà la nuova economia italiana.

Questione solo di tecnologie e di innovazioni ecologiche?

No, il progetto complessivo per l'Italia dovrà viaggiare su due binari principali: il cambiamento climatico da una parte e l'educazione civica dall'altra.  Per quanto riguarda quest'ultima voce, si tratta di un progetto trasversale che includerà scuola, sanità, giustizia, digitalizzazione e informazione. Punteremo a una mutazione dei sentimenti prevalenti. Oggi gli italiani sono troppo sfiduciati e lamentosi per combinare qualcosa di buono. Brutta cosa quando manca la fiducia: ricorda che cosa diceva Adam Smith, il padre degli economisti classici? La fiducia in sé e negli altri è il vero motore dell'economia. Quando manca la fiducia, tutto è fermo. 

In un sondaggio che nel 2008 mi presentò Luisa Corrado, ricercatrice italiana presso l'Università di Cambridge, mi colpì l'ultima posizione dell'Italia in Europa alla voce “fiducia nella politica e nelle istituzioni”.  

Ce ne sono di più negativi, più recenti (Istat 2017 ed Eurobarometro 2018) che indicano un peggioramento della situazione. Noi siamo specialisti della sfiducia totale verso le istituzioni. Per l'80% non ci fidiamo del prossimo. Non ci fidiamo di chi ci amministra, di chi fa le leggi, di chi ci giudica. Un popolo che non si fida di chi elegge vive male. Il fatto è che gli eletti sono la proiezione dei propri elettori: dunque il non fidarsi di chi mandiamo a rappresentarci deriva dal fatto che non ci fidiamo di noi stessi. 

È un dato incredibile, questo, di un popolo che ha avuto la fortuna sfacciata di nascere in Italia, nel paese più bello e geograficamente favorito del mondo (lo dicono i pochi numeri che lei cita in una gettonatissima video-conferenza su Youtube) e che ha una posizione così negativa sui sentimenti.  

Dobbiamo sentirci orgogliosi di essere italiani ed essere riconoscenti alle generazioni che ci hanno preceduto e che si sono mossi molto meglio di noi. A volte dalle Alpi in giù registriamo una dicotomia tra bellezza e impegno, tra bellezza e felicità, tra bellezza e ottimismo.

farinetti la fortuna di nascere in italia
Le straordinarie meraviglie e biodiversità dell'Italia, raccontate dal patron di Eataly Oscar Farinetti

Noi italiani siamo un po' strani: ci dedichiamo molto a quello che è il privato e poco a quello che è pubblico. Lo sa che siamo quelli che hanno nelle proprie case i bagni più puliti al mondo mentre, al contrario, abbiamo i bagni pubblici tra i più sporchi del pianeta? Abbiamo un risparmio privato che è elevatissimo: tra il 2019 e il 2021, nei due anni di pandemia, la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane sotto forma di depositi ha sfiorato il tetto di 5.000 miliardi con una crescita dell'11% circa. E invece il debito pubblico italiano a fine marzo 2022 ha superato i 2.755 miliardi di euro, un record negativo certificato dalla Banca d'Italia.

Due dati in contrasto, questi dell'oculatezza delle famiglie e lo sperpero del denaro pubblico, che illuminano un nostro difetto nazionale: quello di pensare che ciò che è pubblico non sia nostro e che, quindi, quando andiamo a votare non ce ne frega niente… così si spiega la grande astensione dal voto, come alle elezioni politiche del settembre 2022 dove soltanto sei italiani su dieci sono andati alle urne (andò peggio ai referendum di giugno scorso sulla giustizia, soltanto il 20% è andato a deporre la scheda del voto). Un problema è che gli italiani non riescono più ad apprezzare le cose belle e neppure quelle buone. Prendiamo per esempio la sanità pubblica: lo sappiamo che, dati alla mano, la sanità italiana è tra le migliori al mondo?

L'educazione civica e dei sentimenti umani da far crescere nel popolo più pessimista al mondo (ricerca planetaria WIN/Gallup in 68 Paesi: siamo indietro perfino a Palestina e Iraq). Mi sembra, questa, un'impresa più difficile della transizione ecologica.

Di regole e di ricette ne abbiamo finché ne vogliamo, quello che dobbiamo cambiare sono i sentimenti, la fiducia in primis. Ai miei nipoti racconterei di quando avevo la loro età e c'era in giro il miracolo economico dopo la grande guerra mondiale. A quel tempo noi italiani ci vergognavamo per aver emanato disumane leggi razziali; per aver perso, giustamente, una guerra terrificante, con 70 milioni di morti (500 mila nostri connazionali), voluta anche dal nostro dittatore Benito Mussolini e pure dal re d'Italia, Vittorio Emanuele III. Quegli italiani che hanno visto il nostro paese toccare il fondo, distrutto da una guerra persa, si sono rimboccati le maniche e hanno gestito il rimbalzo. Mio papà diceva che per rimbalzare occorre toccare il fondo. Così quel dopoguerra profumò straordinariamente di fiducia reciproca. 

Ai nipoti provi a fare un esempio.

Ricorderei loro questo piccolo ma efficace frammento di vita personale: quando, alla loro età, andavo a comprare il latte, mia nonna mi mandava in negozio con una ecologica bottiglia di . Non mi dava soldi e il negoziante mi riempiva la bottiglia senza incassare il dovuto perché sapeva che la nonna sarebbe passata a pagare a fine settimana o a fine mese. Il negoziante segnava su un libretto la merce che aveva dato e quanti soldi doveva ricevere in cambio. Ecco, allora c'era la fiducia di chi si vergognava a non fare il credito e di chi si vergognava a non pagare i debiti. Era meraviglioso. Su questo sentimento di fiducia e di impegno reciproco di ogni italiano si è fondato il miracolo economico del dopoguerra. 

Ritiene che a questo punto i nipoti possano aver ritrovato, quel “gusto del futuro” evocato inizialmente dal premier Mario Draghi? 

No, aggiungerei loro che il contrario di vivere con il senso del futuro è quello di vivere alla giornata. Significa non avere progetti, pensare esclusivamente al quotidiano, con nessuna prospettiva di crescita. 

Uno significa anche avere il senso dei propri limiti, dei propri difetti, significa saper riconoscere e gestire la propria e altrui imperfezione. Riconoscere l'imperfezione che esiste negli altri ci aiuta a cercare il compromesso, unico modo al mondo per vivere in armonia.

Significa per noi italiani fortunati fare il contrario di quanto insegnano nelle scuole di marketing: e cioè dobbiamo pensare localmente e agire globalmente. Studiare l'arte, la storia, le tradizioni, le specialità, le vocazioni italiane e poi andare nel mondo a raccontarle, esaltarle, venderle. Significa anche aggiungere ai diritti il senso dei doveri, quello che evocava un grande socialista come Riccardo Lombardi e anche Aldo Moro. Racconterei loro la meraviglia del più bel compromesso della storia italiana che è stata la Costituzione, la Carta comune condivisa dagli italiani. Ricostruirei per loro quell'anno e mezzo di lavoro mirabile che ha portato alla formidabile mediazione tra pensiero cattolico, laico liberale e socialcomunista. 

Su queste tre anime della nostra Costituzione ho concentrato in un e-book, RiCostituiamoci”, le parole che a fine Novecento raccolsi da Nilde Iotti, Tina Anselmi e Giovanni Ferrara. Le trova sul mio blog Giannella Channel.

Chiuderei con i nipoti suggerendo loro di avere fiducia, coraggio, rispetto. Di essere patriottici, orgogliosi della nostra cultura e rispettosi delle leggi del nostro Paese, e di farci perdonare la fortuna sfacciata di essere nati in questo Paese fortunato. Di batterci, per questo, anche un po' per gli altri. Di smettere di lamentarsi e di criticare per passare ad aiutarci l'un l'altro.  

Spiegherei loro bene il valore del denaro e in questi ultimi anni questo modello sociale che si chiama società dei consumi. Abbiamo dato un po' troppa importanza al denaro e non come mezzo per facilitare lo scambio ma per arricchirsi e mostrarsi così di essere più bravi e più potenti degli altri e quindi racconterei loro che avere un rapporto sano con il denaro è molto importante. Se vogliamo modificare definitivamente il nostro atteggiamento di consumi, puntando alla sostenibilità, occorre trasferire il valore del rispetto dal dovere al piacere, “from duty to beauty”.

Dobbiamo comportarci bene perché ci sentiamo fighi a farlo. Se continuiamo a parlare solo di senso del dovere ci metteremo una vita.

Il dovere è vissuto come fatica, dolore, sacrificio. Domani voglio sentire Paolo ventenne che mi dica: “Faccio la differenziata perché poi lo racconto in giro e così cucco di più”. Voglio vedere gente che prova invidia per una famiglia che in casa utilizza energia da fonti rinnovabili. Mica rispetto, e neanche ammirazione, invidia! Voglio vedere Celeste che si rifiuta di salire sul suv di Mario, perché preferisce la piccola auto elettrica di Giorgio.

E che proprio per questo trova Giorgio molto più figo di Mario. Voglio vedere un tipo che sulla camicia, invece di farsi ricamare le iniziali, fa scrivere “Organic cotton Ogm free” e che, mostrandola, ne vada fiero. Il rispetto dell'ambiente deve diventare bellezza.  

Insomma, per tornare alla sostenibilità che ha mosso questa intervista: “Cari nipoti, la mia filosofia è: altissima qualità e prezzi sostenibili”. Così scatteremmo in testa a tutte le classifiche di civiltà.

Per saperne di più su Green Pea e sulle tre anime della Costituzione

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